Sotto la spinta della rabbia

Archivio Agorà

L’abbiamo già detto che siamo in guerra. Una guerra dichiarata dai terroristi. Un nemico infido e sfuggente contro il quale, tuttavia, non stiamo ancora combattendo. Ci siamo limitati alla difesa e alla prevenzione. Ma i fatti di Parigi dimostrano che non basta difendersi, bisogna  attaccare. E in attesa di portare la guerra a casa del nemico bisogna iniziare a combattere qui, ora.

Parto da una constatazione che non piacerà a chi ama le sottili dissertazioni: le guerre non si combattono con gli strumenti della democrazia e del dialogo. In guerra i diritti, che spettano a tutti, incluso il nemico quando ancora nemico non è, vengono ridotti. Questo è quello che dovremmo fare.

Parigi è oggi sotto assedio e per evitare altri morti si chiudono le scuole, i mercati e i luoghi di aggregazione. Esattamente ciò che volevano i terroristi. Ma perché limitare le nostre libertà, senza peraltro nemmeno la certezza di aver risolto il problema, anziché fare la scelta opposta, scegliendo un’altra strada, tanto sgradevole quanto efficace: la sospensione dei diritti di coloro che ci aggrediscono, scegliendo di essere il nostro nemico.

I terroristi sono una minoranza, ma non li conosciamo né possiamo controllarli tutti. Quindi dobbiamo costringere i musulmani, che li hanno tra loro, a combatterli. Far diventare la lotta al terrorismo la loro ragione di vita, il loro interesse primario.

Qualcuno pensa che quando avviene ciò che sta avvenendo a Parigi,  anziché chiudere e blindare le nostre città e ridurre i nostri diritti dovremmo ridurre i diritti di chi ci aggredisce e che, almeno per ora, è ancora una minoranza.

Chiusura delle Moschee e di tutte le attività gestite da musulmani, per  il tempo necessario a ripristinare la normalità nelle città aggredite. Limitazione della libertà di circolazione per  il tempo necessario a controllare le loro abitazioni ed i loro luoghi di riunione e di lavoro. Reclusione temporanea per chi viola le disposizioni, fino a quando non si sarà verificata non solo al loro estraneità, ma anche la loro avversione al terrorismo.

Un atto di ingiustizia, persino brutale, che colpirebbe molti innocenti, cioè la maggior parte dei musulmani che vive in Europa. Ma anche i morti per mano del terrorismo sono persone innocenti. La bilancia dell’ingiustizia pende ancora dall’altra parte.

Ma forse è solo un pensiero spinto dalla rabbia e dalla sensazione d’impotenza.  Sono però convinto che si debbano convincere tutti musulmani che il terrorismo è il loro nemico e che devono essere loro a combatterlo e persino a rischiare, per difendere il loro diritto a una vita serena in una società democratica. Perché se per i musulmani Allah è grande lo è certamente anche il desiderio della maggior parte di loro di vivere una vita serena.