Un governo che voglia cambiare davvero le cose e fare rinascere il Paese deve puntare alla reale “semplificazione” della burocrazia.
La sfiducia dei cittadini italiani verso lo Stato viene da molto lontano ed è diffusa in tutte le zone del Paese, con un picco nel meridione, dove la sfiducia affonda le radici nell’Unità d’Italia che, con lo sfruttamento sabaudo del meridione, portò all’impoverimento di quella che era una delle aree più ricche e fertili d’Europa. Ma le Istituzioni repubblicane, con gli innumerevoli scandali che hanno segnato sia la prima che la seconda repubblica, non hanno certo contribuito a invertire la tendenza.
Molti cittadini vedono nello Stato un nemico, che li ostacola con leggi inique e procedure astruse, o che li vessa con tasse e balzelli a fronte dei quali eroga servizi decisamente scadenti. La mancanza di fiducia attraversa tutti gli strati sociali con sfumature diverse: le classi più povere, per gli ostacoli che leggi e regolamenti difficili da capire aggiungono al loro già faticoso vivere quotidiano; i benestanti: imprenditori, esercenti, professionisti, per il fastidio di doversi confrontare con norme astruse e farraginose che percepiscono come insensati ostacoli alla loro voglia di intraprendere e di fare.
Burocrazia nemica
Il nemico principale è ovviamente la burocrazia, definita dal vocabolario Treccani come “l’insieme dei funzionari e degli uffici che, organizzati gerarchicamente, svolgono le funzioni della pubblica amministrazione”. Una parola che vorrebbe indicare qualcosa di positivo, cioè la struttura che dispensa i servizi pubblici, ma che è invece contraddetta dall’altra definizione che ci fornisce il vocabolario e che corrisponde alla generalizzata percezione negativa del “potere assunto dalla massa dei funzionari, attraverso una complessa serie di formalità e procedure, avvertite come eccessive e inutili, con un’osservanza esagerata dei regolamenti, che punta più agli aspetti formali che alla sostanza”.
Il circolo vizioso
Questa sfiducia si rigenera costantemente, in una sorta di circolo vizioso: lo Stato sa che non può fidarsi dei cittadini che cercano scorciatoie a volte illegali. E quindi inventa norme e controlli che inducono i cittadini a cercare nuove scorciatoie che, a loro volta legittimano i fastidiosi legacci che lo Stato è costretto a inventare. Ma chi ha iniziato per primo? Risposta difficile da dare. Ma forse è più importante dare la risposta a un’altra domanda: queste norme rigide e astruse, hanno finora impedito ai furbi di evadere, eludere e corrompere? No. L’evasione fiscale è spaventosa, la violazione dei doveri è quotidiana, l’abusivismo, non solo edilizio, ha straziato il nostro territorio e stravolto la nostra economia. Quindi?
Senso civico e inefficacia dei legacci
Le norme opprimenti e farraginose non hanno raggiunto il loro scopo, ma hanno complicato la vita di tutti. Si potrebbe anzi dire che quelle norme, che penalizzano gli onesti ma sono inefficaci per i furbi, fanno crescere la sfiducia anche tra gli onesti, generando danno su danno.
Il senso civico dovrebbe essere innato, ma non è così. Qualcuno sostiene che andrebbe inculcato con la forza delle leggi, con controlli asfissianti e sanzioni esemplari, ma anche questa è una strada impervia, perché presuppone uno Stato autoritario, che nessuno desidera e che, semmai, dovrebbe rivolgere queste attenzioni prioritariamente alla delinquenza organizzata.
Lealtà reciproca
L’unica strada praticabile appare dunque quella di salvare il salvabile, cioè di concepire un’organizzazione dello Stato che sia più rispettosa degli onesti, semplificando la loro vita. I conti con i furbi, che continueranno ad approfittare delle situazioni, dovremo farli in ogni caso e senza abbassare la guardia. Ma per avviare questo percorso virtuoso bisogna rendere più semplici – e dunque facili da rispettare – tanto le norme quanto le procedure, migliorando così la vita di tutti. Questa compito spetta allo Stato che, secondo il dettato costituzionale è tenuto a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà dei cittadini.
L’art. 3 della Costituzione, in verità, ha un obiettivo più elevato, ma ci piace pensare che tra gli ostacoli da rimuovere ci siano anche quelli burocratici che impediscono la crescita del nostro Paese. E non parliamo solo della libertà d’impresa e della crescita economica e sociale dei cittadini che vogliono generare ricchezza e lavoro, ma anche della vita di tutti i giorni: di chi deve iscrivere i figli a scuola, compilare una dichiarazione dei redditi, richiedere un’autorizzazione o un certificato. Qualcosa è stato fatto ma è ancora troppo poco e la sensazione diffusa è che non si faccia di più per non sottrarre potere ai burocrati ed a talune categorie professionali la cui esistenza è garantita proprio dalla complessità normativa.
Fiducia negli onesti
Un governo che voglia cambiare davvero le cose e fare rinascere il Paese deve puntare alla reale “semplificazione”, che non ha nulla a che vedere con le sceneggiate propagandistiche dei falò delle leggi inutili che, di fatto, non hanno modificato minimamente il sistema burocratico. La vera sfida da cogliere è quella di semplificare l’intero sistema normativo, rendendolo comprensibile e accessibile ai cittadini, riducendo al minimo gli adempimenti formali e affidando ai professionisti e alle imprese il compito di garantire il rispetto delle leggi e di tutelare l’interesse collettivo.
Una sfida che se raccolta potrà dare anche grandi vantaggi economici in quanto, eliminando passaggi e controlli inutili, si possono liberare risorse economiche e umane da impegnare su altri fronti. E’ una scelta che comporta dei rischi? Forse. Ma la scelta opposta, come ci insegna la nostra storia è stata fallimentare. Dunque, a parità di rischi, è meglio rendere più semplice la vita alla maggioranza dei cittadini, che sono e resteranno comunque onesti, sottraendoli alla sudditanza verso un potere ottuso e inefficiente.
Certezza della pena
L’altro lato della medaglia della semplificazione è quello della certezza della pena. Le grandi democrazie anglosassoni, che hanno basato sulla totale fiducia il loro rapporto con i cittadini, sono anche le più intransigenti e rigorose nel punire chi tradisce quella fiducia. In molti Stati, democratici e civilmente avanzati, gli ordini professionali radiano il professionista che violi il codice deontologoìico, cioè il rispetto di leggi e regolamenti. Lo Stato chiude le imprese che non rispettano le norme; gli evasori fiscali scontano anni di carcere e i funzionari corrotti perdono il diritto alla pensione. Su questo fronte la nostra debolezza è endemica e sappiamo che non è facile riformare un sistema che fa acqua da troppe parti.
Ma un primo ed importante passo sarebbe rappresentato dalla riorganizzazione della macchina amministrativa, partendo dall’assunzione diretta di responsabilità di funzionari e dirigenti ai quali devono essere forniti strumenti adeguati a fronte di un’elevata e certificata professionalità, perché lo Stato deve essere il luogo delle eccellenze e della perfezione non degli incapaci e dell’approssimazione. Discorso che vale ancor di più per il sistema giudiziario nel quale, mantenendo intatte le garanzie della difesa, devono essere semplificate le procedure e azzerati i tempi morti, eliminando le debolezze del sistema che favoriscono i cavilli e sanzionando, con il trasferimento ad altre funzioni, i magistrati che svolgono superficialmente o in mala fede il loro lavoro.
Un nuovo patto tra Stato e cittadino
In ogni caso, anche se non dovessimo risolvere tutti gli aspetti problematici che abbiamo accennato, faremmo un importante passo in avanti nel ricostruire la fiducia tra cittadini e istituzioni, spingendo l’intera collettività verso un nuovo e più elevato senso civico, che unisca stato e cittadini nella lotta contro i furbi. Chissà se la Presidente Meloni, se la sente di affrontare anche questa scommessa.