IL TOPOLINO DELLA DESTRA FRANCESE
Alla fine la paura – della vittoria annunciata della destra francese, che avrebbe potuto travolgere l’Europa – ha fatto il miracolo e la montagna di voti, che sembrava dovesse portare al potere la neofascista Marie Le Pen, ha partorito un topolino, relegando i “vincitori del giorno prima” al terzo posto del podio elettorale. La “chiamata alle armi” della sinistra contro l’ondata reazionaria ha avuto successo, facendo tirare un sospiro di sollievo all’establishment europeo. Imprevedibilmente ha vinto la sinistra-sinistra e questo sarà comunque un problema per Macron e compagni.
Oltre Manica, quasi contemporaneamente, i conservatori inglesi hanno subìto una delle più grandi sconfitte elettorali degli ultimi anni, vedendo i laburisti fare il pieno di voti e soprattutto di seggi. Anche qui i progressiti prenderanno le redini del Governo.
Pericolo scampato, segnale di una inversione di tendenza degli elettori europei? Nessuno può dirlo. Ma ammesso che si tratti davvero dello scampato pericolo dell’involuzione reazionaria dell’Europa, se fossi nei panni della sinistra e dei progressisti europei, aspetterei a cantare vittoria, anche se la vittoria elettorale è oggettivamente indiscutibile. “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza” direbbe il Manzoni.
“MANCA L’ANALISI E POI NON HO L’ELMETTO”
Quando esistevano i Partiti popolari (la maiuscola è voluta) radicati nella società ed immersi nella realtà, si svolgevano interminabili e appassionanti discussioni post elettorali – a tutti i livelli, dalle direzioni nazionali fino alla più sperduta delle sezioni territoriali – di “analisi del voto”. Un’operazione faticosa ma indispensabile, sia per capire le cause della sconfitta, per elaborare nuove strategie, che per valutare le ragioni del successo, per consolidare i punti di forza della proposta premiata dagli elettori.
Ho cercato inutilmente in questi giorni sui quotidiani, nei notiziari e nei dibattiti televisivi degli innumerevoli programmi politici “copia e incolla” che occupano le nostre reti, i segni di qualcosa di simile. Ma forse è ancora presto e dovremo attendere le riunioni delle “direzioni centrali” per sapere da cosa siano dipesi successi e sconfitte, quali eventi li abbiano provocati, sulla scorta di quali parole d’ordine o di quali indicazioni strategiche si siano mobilitati gli elettori. E’ un compito che spetta ai leader politici, di maggioranza e opposizione, che da questi risultati avranno tratto qualche utile insegnamento. Le realtà sociali e politiche sono diverse, ma gli effetti che avranno i risultati sulla geometria politica dell’Unione Europea ci riguardano direttamente.
L’AGLIETTO DI LE PEN E IL MANTRA DELLA SCHLEIN
Marie Le Pen ha ripetuto – forse per consolare i suoi “con l’aglietto”come si dice a Roma – che la vittoria della destra francese è solo rinviata. Questo sembra essere anche il pensiero di Giorgia Meloni, convinta che i popoli dell’Europa, preoccupati della sicurezza delle città, della crisi economica, della mancanza di lavoro e dell’inarrestabile “invasione” migratoria, guarderanno con fiducia crescente alla chiara proposta politica della destra.
La Schlein, per ora, si accontenta di ripetere il vecchio mantra della “sinistra unita che può battere la destra” nonostante sia evidente che la sinistra sia unita solo quando si prospetti un pericolo da fronteggiare, che sia il liberismo sfrenato di Berlusconi o la deriva autoritaria neofascista.
Entrambi gli schieramenti, tuttavia, hanno un problema di “centraggio”, che nulla ha a che vedere con il centrismo.
IL DUALISMO DI DESTRA
La destra ha il problema, che non può essere affrontato tatticamente o in modo fittizio, di legittimare la propria immagine democratica, chiudendo la porta agli atteggiamenti nostalgici di un passato definitivamente condannato dalla storia. Atteggiamenti che la stessa Meloni, diamogliene atto, ha coraggiosamente definito “macchiettistici”. Ma è del tutto evidente che all’interno del suo partito esista un problema di compatibilità tra l’anima dell’ex destra missina, non risolta dagli sforzi titanici di Gianfranco Fini, considerato da molti ex missini un traditore degli ideali del “passato” e quella ex democristiana, più pragmatica e liberale, che soffre la presenza contigua di Forza Italia, unico partito liberale dello scenario italiano.Un rompicapo non facile da risolvere e sul quale si misurerà la statura politica di Giorgia Meloni.
IL “MINIMISSIMO” DENOMINATORE COMUNE DELLA SINISTRA
La sinistra è composta da una costellazione di forze, con un denominatore comune talmente minimo da non garantire la reale unità. Se il punto d’unione, come in Francia, è solo quello di arginare l’avanzata neoofascista, le prospettive di successo, già labili ed estemporanee, rischiano di svanire al semplice mutare dei rapporti di forza nel centrodestra. La sinistra, peraltro, deve risolvere un rompicapo più complesso di quello della destra: quello dell’equilibrio diritti e doveri. La prima parola è spesso, a volte insensatamente, abusata, mentre la seconda è sparita dal vocabolario progressista per via della debolezza della proposta politica. All’impegno per una legge che punti alla gestione sociale, ma equilibrata, degli affitti, si preferisce il sostegno alle occupazioni delle case, tanto popolari quanto private, che scatenano un’assurda guerra tra poveri e semipoveri; all’elaborazione di una proposta di accoglienza controllata e ben gestita si preferisce la difesa aprioristica e indistinta di tutti gli immigrati; al riordino del pubblico impiego, si preferisce lo “status quo” che tutela i fannulloni umiliando chi vuole dare un servizio efficiente ai cittadini.
LE CATEGORIE DEL PASSATO DA RIPENSARE
E alla fine si rimane prigionieri di categorie che il tempo e l’economia hanno decisamente modificato, come quella dei “padroni” nella quale si accomunano, indistintamente, i grandi gruppi imprenditoriali che approfittano delle sovvenzionati dallo Stato e i piccoli imprenditori, che rischiano in proprio o gli artigiani, i commercianti e le partite IVA, che si dibattono faticosamente tra la necessità di essere competititvi e l’alto costo del lavoro, per non parlare della miriade insopportabile di adempimenti formali da soddisfare. Le buste paga dei lavoratori sono sempre più misere, le morti sul lavoro rimangono a livelli inaccettabili e ci si ricorda della piaga del caporalato solo quando qualcuno muore di lavoro. La proletarizzazione del ceto medio è da anni sotto i nostri occhi, ma il mondo progressista non riesce ancora ad offrire una prospettiva – cioè un programma politico – chiara e comune. Nemmeno quando, più o meno casualmente, vince le elezioni. E le elezioni la sinistra le vince, come in Francia, solo quando riesce a convincere la maggioranza degli elettori a recarsi alle urne.
Quello dei due schieramenti che per primo affronterà con coraggio e determinazione i nodi che ha di fronte, otterrà il consenso duraturo del popolo italiano. Ma il timore è che entrambi si accontentino di vivacchiare, soddisfatti dei successi estemporanei, con grande danno per i cittadini e per la democrazia italiana ed europea.