L’Unione europea è nata per garantire la pace in Europa e quindi è ora che essa metta in campo tutta la sua forza di persuasione.
Una storia che va chiarita
Dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino, molti di noi si sono astenuti dall’esprimere il proprio punto di vista. Le ragioni di questo riserbo risiedono innanzitutto nell’impossibilità di discutere, e ancora meno di sostenere, le ragioni di un’aggressione. Ma per avere un’opinione chiara, bisogna conoscere meglio quella che è stata la storia dell’Ucraina dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, una storia così controversa da indurre filo-russi e filo-ucraini a sostenere versioni diametralmente opposte.
La Crimea e le regioni orientali del Donbass, filorusse per storia, lingua e tradizioni culturali, sono diverse dal resto dell’Ucraina. E questo ha portato con sé una serie di problemi, che si sarebbero potuti risolvere ragionevolmente se si fosse riconosciuto alla minoranza russofona, che è maggioranza in quelle regioni, il diritto a una reale autonomia amministrativa. Ma per ragioni più complesse, le grandi potenze hanno deciso di giocare, sulla pelle di quelle popolazioni, una vera e propria partita di “risiko” che ormai ci coinvolge tutti.
La guerra prima della guerra
Una partita iniziata nel 2008, quando, inopinatamente, la NATO affermò che avrebbe accolto la richiesta dell’Ucraina di entrare nell’organizzazione atlantica. Un’affermazione che rimetteva unilateralmente in discussione i patti che garantivano alla Russia una cintura di Paesi cuscinetto neutrali. La partita è continuata poi nel 2014, quando le forze filo-europee, quindi filo NATO, rovesciarono il governo di Yanukovich, con quella che essi definirono come una “rivoluzione” ma che Putin marchiò come un “colpo di Stato incostituzionale”. A quel punto la Russia decise l’annessione della Crimea e sostenne la dichiarazione di indipendenza delle regioni del Donbass, che scatenò una serie di azioni di guerra non dichiarata che, tra il 2014 e il 2015, lasciarono sul terreno più di 13 mila morti.
Gli accordi disattesi e l’invasione
Nel 2015, con gli accordi di Minsk, sembrava che si fosse raggiunto un punto di equilibrio, con il ritorno delle regioni di Donetsk e Luhansk sotto il controllo dell’Ucraina, in cambio di una maggiore autonomia. Ma quegli accordi non furono mai rispettati e alla fine Putin, decise di passare dalle minacce ai fatti, iniziando l’invasione. Putin, in quanto invasore, non è difendibile e questo complica la vita persino ai pacifisti i quali, per il semplice motivo di dissentire dall’escalation bellica, vengono accusati di essere complici dell’aggressore. Ma questo succedeva anche ai “figli dei fiori” che protestavano contro la guerra del Viet-Nam e venivano accusati di essere comunisti.
Aggressori e sicurezza nazionale
Il pacifismo è spesso una scelta faticosa, che rischia di essere fraintesa quando è in corso un’aggressione che mette in discussione la sovranità di una nazione. Ma va detto che anche la sicurezza di una nazione non può essere messa in discussione, soprattutto se quella nazione è una superpotenza. Fu così quando i sovietici, negli anni ’60, tentarono di installare i loro missili a Cuba e gli USA, per difendere la loro sicurezza, arrivarono sull’orlo della guerra nucleare. Kennedy non poteva permettere che a pochi chilometri dalla costa americana venissero installati i missili russi, perché oggi Putin avrebbe dovuto comportarsi diversamente?
L’opzione pacifista e il ruolo dell’Europa
La scelta pacifista è tuttavia l’unica che tuteli gli interessi dell’Europa la quale, dopo aver giustamente sostenuto la resistenza Ucraina, deve ora puntare a interrompere il pericoloso braccio di ferro, a distanza, tra USA e Russia, avendo ben chiaro che in un eventuale conflitto nucleare essa sarebbe la prima vittima. L’opzione nucleare sarebbe un suicidio per la Russia, ma nessuno può illudersi che il rischio non sussista. Va dunque cambiata l’inerzia di questo stallo.
Bisogna da un lato interrompere l’illusione dell’Ucraina di poter battere il gigante russo, mentre su di essa incombe un inverno che potrebbe mietere più vittime innocenti della guerra stessa e, dall’altro, offrire una via d’uscita onorevole a Putin, che si era illuso di ottenere una rapida vittoria e si ritrova ora impantanato in un conflitto che ha indebolito tanto l’economia quanto l’immagine internazionale della Russia.
L’Unione europea è nata per garantire la pace in Europa e quindi è ora che essa metta in campo tutta la sua forza di persuasione, economica e diplomatica, per indurre i contendenti ad un’intesa. Iniziando da un immediato cessate il fuoco, non dettato dalla retorica natalizia ma dall’urgenza di evitare altre sofferenze a vittime innocenti. Ma come si può ottenere la pace in una situazione di stallo come questa?
Uscire dallo stallo seguendo Einstein
Una possibile soluzione ce la indica Umberto Vattani, che per lunghi anni è stato il capo della diplomazia italiana e conosce come pochi le dinamiche della politica internazionale. Vattani suggerisce di cambiare prospettiva perché, come diceva Albert Einstein: “ un problema non può essere risolto rimanendo al livello che lo ha generato”.
Umberto Vattani, nell’intervista concessa a “Tempi” il 5 dicembre scorso, ci ricorda che “la crisi dei missili di Cuba nel 1962 fu risolta grazie a un accordo segreto tra Stati Uniti e Urss, che riguardava lo smantellamento in Turchia dei missili americani Jupiter che minacciavano i sovietici”. Anche in quel caso si era in una situazione di stallo, ma una via di uscita si trovò “ampliando lo scenario, cioè mettendo sul tavolo altre carte, che interessavano i due contendenti, per trovare un punto di incontro”.
Sia Putin che Zelensky, hanno buoni motivi per voler terminare il conflitto, ma nessuno dei due vuole perdere la faccia. Dunque Vattani propone di usare le armi della diplomazia per “allargare lo sguardo, non fossilizzandosi solo sulla situazione contingente; magari mettendo sul tavolo carte finora non considerate, come le possibili riduzioni degli armamenti nucleari, o intavolare negoziati per risolvere questioni complesse che riguardano l’Artico e l’Antartico, o fare passi in avanti per diminuire i rischi nello spazio. Sessant’anni fa Nikita Chruscev e John Kennedy si dimostrarono saggi ed evitarono lo scontro nucleare. C’è da augurarsi che la stessa saggezza sia usata dai capi di Stato di oggi”.
Russia ed Europa, storia comune
Ma Vattani riesce a guardare anche oltre, perché ritiene che in questa discussione si debba anche pensare al dopo: “cioè discutere della posizione della Russia nel continente europeo una volta terminato il conflitto”. Un argomento che, nell’attuale situazione che vede la Russia ai margini politici dell’occidente, non è affatto secondario. Il Presidente Mattarella all’inaugurazione della stagione lirica alla Scala di Milano, ha detto che la cultura russa non si cancella. Ecco, noi vorremmo aggiungere che non si cancella nemmeno la storia della Russia, che è parte integrante della storia dell’Europa e tale deve rimanere.